martedì 7 aprile 2009

I VIAGGI PER L'ABORTO IN SVIZZERA

«È il fallimento della nostra politica di prevenzione»
«Una donna su tre è italiana»
Su 682 aborti eseguiti nel 2008, più di 200 sono stati richiesti da italiane. Picco di interventi in Canton Ticino

MILANO - È italiana quasi una donna su tre, di quelle che hanno interrotto la gravidanza in Ticino lo scorso anno. A lan­ciare l’allarme sul «turismo abortivo» in Svizzera è stato Carlo Luigi Caimi, avvocato e deputato del Gran Consiglio per il Ppd (la corrente dei de­mocristiani), che giovedì scor­so ha presentato una interpel­lanza al Consiglio di Stato de­nunciando il totale fallimento della politica di prevenzione del Cantone. I dati sono stati elaborati dal­l’Ufficio statistica e dall’Ufficio del medico cantonale. Nel 2008 in Ticino sono stati fatti 682 aborti, con un incremento dell’11,25% rispetto all’anno precedente (la tendenza italia­na è -3,9%). Nel 33 per cento dei casi le donne erano residen­ti «all’estero».

Quelle che vive­vano nel nostro Paese erano 221. Ancora più nel dettaglio: 206 proprio di nazionalità ita­liana, le altre cinque straniere. Cinque anni prima, nel 2003, il «turismo» aveva interessato 78 donne. «Queste cifre ci colpiscono e non potevamo osservarle in si­lenzio. Sul fenomeno abbiamo avanzato diverse ipotesi: uno dei problemi è dato dalla Ru486, che in Italia o non c’è o se ne fa un uso molto limitato. Gioca poi a nostro vantaggio il di­scorso della privacy, ri­gorosissimo. A questo aggiungiamo l’efficien­za del sistema sanita­rio e la quasi totale mancanza di tempi di attesa». L’avvocato Ca­imi legge così le stati­stiche che ha anticipa­to nella sua interroga­zione parlamentare. La voce «pillola abortiva», dunque, è la più im­portante nella scelta di andare nel Canton Ticino. Stando alle ultime statistiche, l’interruzio­ne delle italiane è stata farma­cologica in 180 casi, chirurgica in 25, e in uno ha richiesto en­trambi i metodi. La fascia di età coinvolta va dai 25 ai 29 an­ni in misura più larga (106), poi dai 30 ai 34 (novantadue) e dai 35 ai 39 (settantotto).

Silvio Viale, il ginecologo del Sant’Anna di Torino che da anni si batte per introdurre nel nostro Paese il farmaco aborti­vo, sulla materia ha molte cose da dire. «Il fenomeno del turi­smo non è nuovo. Molte pie­montesi si spostano in Fran­cia, così come le liguri. Per la Svizzera ero rimasto fermo ai Cantoni tedeschi. Chi si muo­ve, trova comunque una rete di assistenza al suo rientro, ga­rantita magari dallo stesso me­dico che ha suggerito il viag­gio ». Chi sono queste donne? «Persone che trovano le infor­mazioni su Internet. Che prefe­riscono spendere da 400 a 600 euro oltre confine piuttosto che fare le code nei nostri con­sultori, dove c’è sempre qual­cuno che ti può riconoscere o ricordarsi di te. E poi sono don­ne che non vogliono rischiare la corsa contro il tempo dei po­chi ospedali che oggi importa­no l’Ru486. Dal momento della richiesta alla Francia, in gene­re, passano 4-5 giorni: basta un imprevisto per far saltare l’aborto con la pillola». L’argomento della discrezio­ne è quello che convince di più Basilio Tiso, direttore sanitario della clinica milanese Mangia­galli, dove negli ultimi mesi i tempi di attesa si sono allunga­ti da 7 a dodici giorni a causa dell’aumento delle richieste. Commenta: «In quei numeri ci vedo semplicemente la voglia di abortire lontano da casa, di nascosto». Ancora, nel 2009.

Elvira Serra FONTE
07 aprile 2009

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